Il 6 febbraio ricorre la Giornata mondiale contro le mutilazioni genitali femminili (MGF), istituita dalle Nazioni Unite nel 2003.
Sunna, clitoridectomia, infibulazione, circoncisione. Corno d’Africa, Mauritania, Gibuti, Mozambico, Egitto, Kenya, Mali, Arabia Saudita, Tanzania, Nigeria, ma anche Stati Uniti, Europa ed Australia, e Italia. Diverse denominazioni e molti paesi per una sola pratica: la mutilazione dei genitali femminili, un problema poco noto, complicato e contraddittorio, che non possiamo più fingere di non vedere e che non possiamo più evitare di conoscere neppure nel contesto occidentale dove, sempre più frequentemente, le cronache riportano dell’esecuzione di tali procedure e delle problematiche che le accompagnano. Siamo infatti di fronte a rituali che non coinvolgono solamente molti paesi Africani, ma anche l’Estremo Oriente, l’Australia, gli Stati Uniti e l’Europa a seguito dei consistenti flussi migratori internazionali, che interessano anche popolazioni ove le mutilazioni genitali femminili sono assai diffuse. Riguardano, quindi, donne lontane, ma anche persone, ragazze e bambine, che vivono accanto a noi e che con noi lavorano, studiano e crescono. Le mutilazioni genitali femminili comportano numerosi rischi per la salute e la sopravvivenza stessa delle vittime, privandole, oltre che dell’integrità fisica, anche del loro “essere donne” e di una normale ed equilibrata vita sessuale. La mutilazione è violazione. È violazione dei diritti ed, ancor prima, della donna nella sua essenza. La mutilazione è anche il frutto di complesse strategie socio-economiche fondate su una visione stereotipata della donna, intesa come essere inferiore e, quindi, da controllare e dominare. È proprio l’opposizione a questo modo di intendere la donna e l’impegno contro ogni discriminazione di genere, che trova la sua sintesi suprema nella mutilazione del corpo femminile, che ha fatto emergere nel Comitato Pari Opportunità l’esigenza di diffondere questo comunicato per sensibilizzare chi legge della necessità di prendere posizione per condannare questo fenomeno, che rappresenta una atroce violazione dei diritti umani, di cui l’Avvocatura deve essere garante.